Intercettazioni: Galimberti, si mettono le aziende editoriali contro i giornalisti
AUDIZIONE DELL’UNCI IN COMMISSIONE GIUSTIZIA DEL SENATO
Pubblichiamo l’intervento di Alessandro Galimberti nell’audizione
22 luglio 2009 - Signor Presidente, vorrei indurre ad una riflessione un po' più approfondita sulle modifiche al decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231, che disciplina la responsabilità amministrativa degli enti. Anche in questo caso, si parte dal presupposto illusorio ed un po' mistificato che gli editori non siano responsabili dei fatti commessi dai giornalisti.
È evidente che ciò non è vero perché l'editore è sempre obbligato solidalmente per tutti gli illeciti civilistici compiuti dai giornalisti. Quindi, la necessità di punire anche l'editore - introdotta con questa norma - nasce da un presupposto che non è reale. È vero che negli ultimi anni l'ambito applicativo del decreto legislativo n. 231 ha avuto un'espansione enorme. Il mio giornale, "Il Sole 24 Ore", pochi giorni fa ha pubblicato 103 fattispecie per le quali si applica tale decreto: si tratta, in realtà, di fattispecie abbastanza omogenee, che riguardano settori criminali piuttosto ben individuati e caratterizzati dal fatto che tali illeciti, dai quali le aziende traggono un beneficio importante, vengono commessi dal management con un'alta intensità del dolo.
Applicare tale principio alle pubblicazioni dei quotidiani è già molto difficile, ma si trascura - vorrei focalizzare l'attenzione su questo aspetto - tutto il portato del decreto legislativo n. 231, oltre al pagamento di una sanzione pecuniaria.
Mi riferisco, ad esempio, alle sanzioni accessorie che possono e devono essere erogate dal giudice nel momento in cui le violazioni siano reiterate; si può arrivare - basta leggere il testo del decreto legislativo n. 231 - addirittura a sanzioni interdittive per la società, le quali, nel caso di aziende editoriali che rivestono un carattere di pubblica utilità, possono essere sostituite da una gestione commissariale. Allora, non si può fingere di non sapere che l'applicazione delle misure previste dal decreto legislativo n. 231 anche alle società editoriali potrebbe portare addirittura al commissariamento delle società che effettuino reiteratamente (bastano tre episodi) le violazioni.
Inoltre, è molto preoccupante il fatto che le aziende siano costrette per legge ad adottare modelli organizzativi per prevenire le condotte illecite dei loro dipendenti. Fa paura immaginare di applicare tali modelli organizzativi (ho un breve articolato di come debbono essere strutturati) ad una redazione: infatti, devono essere fissati iter burocratici decisionali,formulazioni di direttive aziendali vincolanti, imposizioni di verifiche simultanee incrociate tra diverse funzioni. Peraltro, i controlli sulla congruità dei comportamenti dei giornalisti vengono effettuati fuori della redazione e devono essere attribuiti ad organi di vigilanza, se le società hanno grandi dimensioni, oppure addirittura a consiglieri di amministrazione. Quindi, c'è tutto un portato di sanzioni aggiuntive che devono essere tenute in considerazione e che sono assolutamente inadeguate ed inapplicabili alla stampa.
Per quanto riguarda il disciplinare, come ha già evidenziato la collega Chiappe, il problema è rappresentato dal conflitto tra le norme. Così come novellato, il comma 2 dell'articolo 115 del codice di procedura penale prevede un termine di trenta giorni: nulla da obbiettare al fatto che il procuratore della Repubblica possa segnalare eventuali condotte dei giornalisti ritenute illecite; tuttavia i tempi fissati per la decisione sono incompatibili con la legge n. 69 del 1963, istitutiva dell'ordine. Infatti, la novella che si introduce impone trenta giorni di tempo per assumere la decisione mentre la legge istitutiva dell'ordine prevede un periodo minimo di trenta giorni perché il giornalista possa presentare una difesa. Siamo,dunque, in pieno conflitto tra due norme, peraltro di pari rango.