Intercettazioni: Columba, il ddl Alfano ostacola la giustizia e punisce i cittadini
AUDIZIONE DELL’UNCI IN COMMISSIONE GIUSTIZIA DEL SENATO
Pubblichiamo l’intervento di Guido Columba nell’audizione
22 luglio 2009 - Il disegno di legge 1611 sulla disciplina delle intercettazioni telefoniche giudiziarie e la loro pubblicità all’esame del Senato è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il 12 giugno 2008 e, dopo molteplici modifiche e un voto di fiducia, dalla Camera dei Deputati l’11 giugno 2009 con 318 sì, 224 no e un astenuto.
Il risultato dell’applicazione delle norme del ddl sarebbe da un lato di limitare la possibilità della magistratura di utilizzare uno strumento fondamentale per contrastare il crimine, dall’altro di espropriare i cittadini del loro diritto costituzionale ad essere informati in modo corretto, completo e tempestivo.
Per quanto attiene al problema dell’informazione, quello che ci riguarda direttamente come giornalisti, gli ostacoli al diritto-dovere di cronaca e l’inasprimento delle pene, anche detentive, hanno l’effetto di coartare libertà e responsabilità professionale dei giornalisti e sono aggravati dalla responsabilità oggettiva addossata agli editori per quanto eventualmente pubblicato.
I punti più critici del ddl
- la modifica all’art 114 cpp, che capovolge la clausola generale secondo cui “è sempre consentita la pubblicazione di atti non coperti dal segreto”, introducendo il divieto di pubblicare documentazione e atti “anche se non più coperti dal segreto”.
- il divieto di pubblicazione e diffusione dei nomi e delle immagini dei magistrati
- l’inasprimento, generalizzato, di pene detentive e pecuniarie
- l’obbligo di pubblicare le rettifiche senza alcun commento
- la nuova fattispecie della responsabilità amministrativa dell’editore
- l’informativa da parte del Procuratore della semplice iscrizione nel registro degli indagati all’ordine dei giornalisti obbligato a comminare entro un mese la sospensione dall’esercizio della professione
Dati di partenza esagerati in modo artato
I dati di partenza propalati per sostenere il ddl non erano reali: i dati sul numero assoluto e relativo delle persone sottoposte a intercettazione, sulla loro quantità e frequenza, sul loro costo, sull’illiceità della loro pubblicazione sono stati artatamente esagerati per condizionare l’opinione pubblica e predisporla ad accettare la filosofia autoritaria del ddl. Su questo è necessaria una puntualizzazione: la quasi totalità delle intercettazioni rese note dai mass media negli ultimi anni lo sono state rispettando la normativa in vigore. Non è dunque vero che in Italia i giornali abbiano violato continuamente le norme sulle intercettazioni. I pochi casi di pubblicazione illecita avrebbero potuto essere perseguiti e puniti puntualmente. Invece di sanzionare pochi e singoli comportamenti illeciti si punta a punire tutti i cittadini italiani espropriandoli di un loro diritto costituzionale.
Pregiudizio di incostituzionalità
Il ddl è gravato da un pregiudizio generale di incostituzionalità, hanno osservato i professori Enzo Cheli e Carlo Federico Grosso, in un parere pro-veritate redatto per conto della Fieg, perchè la Corte Costituzionale, nel suo continuo riconoscimento dell’interesse generale all’informazione, come indicato nell’art 21 della Carta, è giunta a riconoscere l’esistenza di un vero e proprio “diritto all’informazione” caratterizzato dal requisito della “inviolabilità” (sentenza 153 del 1987) che fa riferimento ai valori fondanti della forma di Stato, i quali esigono che la democrazia sia basata su una libera opinione pubblica e si sviluppi attraverso la pari concorrenza di tutti alla formazione della volontà generale (sent. 112 del 1993).
Nel campo della giustizia, osservano Cheli e Grosso, il diritto all’informazione agisce sul principio della “pubblicità del giudizio” inteso come “cardine dell’ordinamento fondato sulla sovranità popolare” e sulla “garanzia del controllo della pubblica opinione sullo svolgimento del procedimento” (sent. 50 del 1989; 373 del 1992; 235 del 1993) e viene alimentato anche dai principi del “giusto processo”.
Contrasto con la CEDU
La riforma dell’articolo 117 della Costituzione adottata nel 2001 ha introdotto nel nostro ordinamento il principio dell’osservanza a livello primario dei “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” assunti dallo Stato. E quindi anche della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (CEDU), che fu firmata a Roma nel 1950, il cui art 10 riconosce la libertà di espressione, inclusiva della libertà di opinione e della libertà “di ricevere o comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche”.
E le sentenze della Corte Costituzionale 348 e 349 del 2007 hanno stabilito, proprio in relazione alla CEDU, “l’obbligo del legislatore ordinario di rispettare dette norme, con la conseguenza che la norma nazionale incompatibile con la norma della CEDU, e dunque con gli obblighi internazionali.... viola per ciò stesso tale parametro costituzionale”, poichè argomenta la Corte, una “norma interna” deve essere conforme alle disposizioni internazionali, cioè alla “norma interposta” .
Sentenza Dupuis contro Francia
La sentenza della Corte dei Diritti umani di Strasburgo 5 giugno 2007 (Dupuis contro Francia) richiama esplicitamente alcune disposizioni della raccomandazione 13 del 10 luglio 2003 del Comitato dei ministri della CEDU. In particolare il Principio 1, che afferma: “L’opinione pubblica deve poter ricevere informazioni sulle attività delle autorità giudiziarie e delle forze di polizia attraverso i mass media. I giornalisti, di conseguenza, devono poter liberamente informare e formulare commenti sul funzionamento del sistema giudiziario penale...” e il Principio 6, che stabilisce: “Nell’ambito dei procedimenti penali d’interesse pubblico o di altre procedure penali che interessano particolarmente l’opinione pubblica, le autorità giudiziarie e le forze di polizia dovrebbero informare i mezzi di comunicazione delle loro attività principali.... Nel caso di procedimenti penali che si protraggano per un lungo periodo, l’informazione dovrebbe essere fornita a intervalli regolari”.
Sentenza Kydonis contro Grecia
La sentenza della Corte dei Diritti umani di Strasburgo 2 aprile 2009 (Kydonis contro Grecia) condanna, perchè incompatibili con la libertà di stampa, norme che contemplino il carcere per i cronisti, “cani da guardia della democrazia”, perchè hanno l’effetto di intimidire il giornalista spingendolo all’autocensura e costituiscono quindi una ingerenza inaccettabile sulla libertà di espressione.
Espropriato il diritto dei cittadini a sapere
Il ddl Alfano è, inoltre, inaccettabile perchè l’interesse a conoscere, e controllare l’andamento dei procedimenti penali - ricordando che l’art. 101 della Carta costituzionale sancisce che la “Giustizia è amministrata in nome del popolo” e che, dunque, il popolo deve sapere come ciò avvenga - non può essere limitato solo alla fase dibattimentale ma deve riguardare anche quella delle indagini preliminari perchè è interesse pubblico sapere se un’inchiesta procede e no, se vi sono intoppi, ritardi od ostacoli, quali sono i reati ipotizzati, quali e quanti sono gli imputati.
Menomata l’autonomia del giornalista
L’introduzione, infine, della responsabilità amministrativa della società editrice comporta l’ingerenza diretta del vertice aziendale nella fattura del giornale che menoma l’autonomia e la responsabilità attribuita dalle norme relative alla stampa al direttore che costituisce parte integrante della libertà del giornalista.
Allegati:
- Raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa 10 luglio 2003
- Sentenza Corte europea diritti dell’Uomo: Dupuis contre France 7 giugno 2007
- Sentenza Corte europea diritti dell’Uomo: Kydonis versus Greece 2 aprile 2009
- Rapporto Facoltà Giurisprudenza Università Federico II 15 luglio 2009