Tre parole chiave per il sindacato: presenza, competenza, passione
XXVI CONGRESSO FNSI: GIOVANNI ROSSI
L’intervento del presidente dei cronisti delle Marche
14 gennaio 2011, Bergamo - Sono tre le parole chiave del futuro di questo sindacato, le parole che possono proiettarlo nella dimensione qualitativa che merita. Presenza, competenza, passione. Se non sei dove accadono i fatti sindacali, non sempre riesci a capirli. E ad agire con tempestività. Se non hai la competenza per valutare i problemi, puoi essere animato dalle migliori intenzioni e però fare danni ingenti. Ma se non hai la passione, non vai da nessuna parte. Ed è per la passione dirompente, per il senso di fatica autentica che un mandato sindacale impone, che ieri il segretario uscente Franco Siddi nell’intervento che mi ha preceduto e l’altro giorno ci ha strappato un lungo applauso. Perché senza questa umanità, senza questa sensibilità non si ha neppure la capacità di interpretare i fatti, immaginare il futuro, proporre scelte. E questo sindacato di scelte ha bisogno. Scelte di qualità. Anche per rimediare agli errori e alle sottovalutazioni che a volte ci sono. Penso alla storia che ieri notte ci ha raccontato Carlo Vulpio e che nessuno conosceva. Vorrei capire, se è vero quanto ci ha raccontato – e certo io non ho motivo di dubitarne – cosa non ha funzionato nella catena sindacale Cdr-Assostampa-Fnsi.
Certo, la Fnsi è fatta di uomini e come tutti i gruppi di lavoro può migliorare. Deve migliorare. Ma in dieci anni di Cdr, prima al Giorno poi al Resto del Carlino, attraversando stati di crisi e vicende anche laceranti, sinceramente non ho mai sentito la Fnsi distante. O peggio, come ha sostenuto l’altro giorno un collega del Corriere della Sera, controparte e nemica dei grandi gruppi. Posso averla vista troppo attenta ai suoi equilibri interni, o a volte troppo politica. Mai lontana però. E tanto meno distratta. Ora però serve un rinnovamento organizzativo profondo del quale la riforma statutaria rappresenta solo il primo passo, cui ne dovranno seguire altri per forza. Per aumentare la capacità di azione e le energie per stare ogni giorno sul pezzo. Anzi, sui pezzi sindacali. Che sono tanti e sempre diversi.
Io lavoro al Resto del Carlino e come membro del Cdr ho sottoscritto la prima 416 della nuova ondata, nel dicembre 2008, alla Poligrafici Editoriale. Un caso quasi unico: una 416 con il criterio della volontarietà, che ha portato a uscire dall’organico una settantina di colleghi sui quasi 400 art. 1 del Gruppo, ma tutti con incentivi di peso, e una quarantina di giovani a entrare, uscendo dal precariato. Tutti colleghi che in questo semestre avranno un contratto a tempo indeterminato. L’accordo ha funzionato. E’ stato capito, apprezzato, perché di una sola cosa i colleghi hanno paura: del sindacato notaio, del sindacato che non si batte, del sindacato che non ci mette la faccia e la passione, oltre alla competenza.
Questo sindacato ha bisogno di nuova linfa: è tassativo. Ma le iscrizioni alle Ars si fanno solo se chi al sindacato bussa trova risposte credibili. E la credibilità deriva dalla capacità di ascolto, certo, ma più ancora dalla capacità di azione. Non basta affermare i diritti universali del lavoro, a beneficio dei colleghi sono necessari una strategia efficacia e talvolta una tattica quotidiana per organizzare la resistenza, consentire la sopravvivenza, arginare le ritorsioni nei confronti di chi al sindacato ha avuto la fiducia di rivolgersi.
Le Marche sono una delle regioni in cui più si è lavorato per la tutela del lavoro autonomo. Siamo la prima Assostampa d’Italia ad aver statutariamente sancito nell’aprile 2009 la parità sostanziale tra assunti e freelance nello svolgimento dell’attività sindacale assicurando ai freelance il rimborso spese per le giornate di lavoro investiste per attività sindacale. Sessanta euro al giorno non sono una cifra, ma rappresentano il segnale per statuto che siamo tutti uguali, non solo nelle enunciazioni: nella realtà. Perché è sempre la realtà a doverci interrogare al di là degli slogan, a volte riduttivi e semplicistici. Ad esempio, freelance e precariato non sono sostantivi automaticamente sovrapponibili. Ogni caso fa storia a sé e il sindacato deve saperla interpretare. Certo, i 3, 6, 9 euro a pezzo offerti ai collaboratori del mio gruppo sono una porcheria – lo so –, ma lo possono essere anche i 100 euro per un pezzo a rischio querela commissionato alle 19 con consegna alle 20.30. O l’inchiesta da 200 euro, a querela certa, ma senza tutela legale. O il servizio fotografico a prezzi stracciati perché tanto hai la digitale e che fatica avrai mai fatto per dieci clic. Insomma, generalizzare non aiuta. Dobbiamo uscire dalle frasi scontate.
La solidarietà non possiamo mostrarla solo a parole, la solidarietà va declinata nel concreto. L’aiuto principale ai precari è uno solo: il lavoro. Assicurare flussi di incarichi che garantiscano continuità di prestazione e creino le premesse di una regolarizzazione. Smontando dall’interno le misure impopolari. Riprendo un fortunato slogan inventato dieci anni fa a Milano dal collega Saverio Paffumi: se ogni redattore assunto adottasse professionalmente un freelance o un precario, aiutandolo davvero, non faremmo intanto e tutti qualcosa di sindacale?