A Lazzaro resuscitato... non guardare in bocca
CONTRATTO: MEZZE VERITA’ E VERE E PROPRIE BUGIE PROFILANO IL DISASTRO DI UNA CATEGORIA CHE NON CONOSCE LA SERIETA’
Scatti in percentuale, ma al 4% - Esiziale la Direzione abbandonata agli editori Fnsi: rispettato il mandato congressuale - Scomparsa allegato N ridà dignità
L’Unci esaminerà nel Consiglio Nazionale convocato a Viareggio il 3 aprile l’ipotesi di rinnovo del contratto Fnsi- Fieg. Quelle che seguono sono, dunque, solo le mie considerazioni personali su un testo noto da poche ore. Sono molto lunghe, ma il contratto è, davvero, “epocale”.
di Guido Columba
(versione riveduta e ampliata)
«Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario.» (Giovanni 11,44). Per i credenti, Lazzaro, dopo essere stato resuscitato da Cristo, tornò ad essere un uomo normale in pieno possesso di tutte le sue facoltà fisiche e mentali. Per i laici è difficile credere che avendo trascorso quattro interi giorni da morto (apparente ?) nella tomba di Betania, l’amico di Gesù sotto quelle bende e quel sudario non nascondesse qualche deformazione grave e forse permanente, ormai irreversibile.
Eppure Lazzaro, dice il Vangelo di Giovanni, è resuscitato. La notizia è questa. Le sue condizioni fisiche e mentali sono un codicillo della notizia.
So che può sembrare una similitudine azzardata, ma io la vedo così.
Dopo quattro anni, Siddi ha fatto resuscitare il contratto Fnsi – Fieg. Non essendo avvolto da bende e sudario il poverino mostra a chiunque, impietosamente, tutte le sue ferite, lesioni e menomazioni. Alcune gravi, altre, temo, irreversibili. Alcune esiziali, ad esempio l’abbandono dell’ intera Direzione al “nemico”.
Occorre dire che ha anche qualche croce al merito appuntata sul petto scheletrito. Poche, ma esistono anche loro. I dirigenti delle FNSI, anzi, le esaltano con grande enfasi, in alcuni momenti con temerario orgoglio, come fossero vere e proprie conquiste.
In effetti, in questi giorni, le valutazioni sembrano oscillare: Siddi ha esordito nella commissione del 1° aprile dicendo “non mi vergogno”, più avanti invece ha detto di “essere orgoglioso”. Frasi dovute ai cambiamenti d’umore, e alla mancanza di una chiara strategia in vista del Referendum. La Giunta evidentemente non ha ancora deciso se conviene affrontare la prova spiegando al vento le bandiere dell’orgoglio o essere più realistici e dire, come pure ogni tanto si sente “è il miglior contratto nella situazione data”. In molti riteniamo che con altre condizioni, interne ed esterne, sarebbe stato migliore.
Dunque un contratto c’è. La notizia è questa. I codicilli sul suo stato sono importanti, importantissimi ma, appunto, -codicilli della notizia.
I codicilli esistono, si possono esprimere, urlare, sputare con rabbia, delusione, rancore (quest’ultimo indebito e, quantomeno, eccessivo visto che su dei colleghi è riversato, non sugli editori) in quanto esiste la notizia. Un contratto c’è.
Dunque un Contratto pre-siglato dai rappresentanti di Fnsi e Fieg c’è. E il suo solo esserci gli conferisce forza e una evidente attrazione a farlo diventare operante con l’approvazione della maggioranza della categoria. Ritengo, con tutte le osservazioni, i distinguo e le critiche anche dure che seguono, che sarebbe sbagliato non rendere definitivo l’accordo siglato alle 3 del mattino del 27 marzo 2009.
Dunque, si può dire che i giornalisti sono riusciti finalmente a rinnovare il loro contratto di lavoro. A dire la parola definitiva, naturalmente, sarà il Referendum.
REFERENDUM VERO: APERTO A TUTTI E PONDERATO
Su di esso ci sarà molto da dire. Comincerà a farlo il Consiglio Nazionale del 2 aprile ma dubito che possa dire la parola conclusiva, anche se la Commissione Statuto ne ha discusso a lungo. C’è troppa cautela, troppi silenzi sulla questione perchè la soluzione che sarà proposta non nasconda qualche magheggio. La materia è difficile di per sé: a chi dare il voto ? Si dice, mostrando grande spirito democratico, “voteranno tutti”. Forse si dimentica che è la legislazione a prevedere che i lavoratori sul posto di lavoro hanno diritto alla tutela sindacale. Tutela sindacale tout court, non di Cgil Cisl, Uil, Ugl, Fnsi, Usigrai e via dicendo. Talchè sono miriadi le sentenze che riconoscono il diritto a far parte delle Rsb a chiunque, anche ai non tesserati ai sindacati e quello dei lavoratori di eleggere nelle Rsb chi dà loro fiducia, anche non iscritto ai sindacati ufficiali. E’ naturale quindi, non una concessione, che votino tutti coloro le cui condizioni di lavoro sono regolamentate dal contratto Fnsi-Fieg. Sì, ma in che misura sono regolamentate ? Si sente parlare di tre urne: professionisti, contrattualizzati, collaboratori occasionali. Sembra ragionevole. Il problema vero nasce dal valore “ponderato” del voto: un “sì” espresso da chi manda in redazione un pezzo a settimana (anche se vorrebbe mandarne molti di più) non può avere il medesimo valore di chi, in quella stessa azienda, lavora ogni giorno 10 ore o ne trascorre 7,32 al desk con gli occhi persi nello schermo del Pc. Non sarebbe equo. Il sacrosanto principio “una testa, un voto” vale quando le condizioni di chi si esprime sono grosso modo equivalenti. In questi nostri giornalismi le condizioni sono profondamente diverse. E, dunque, un Referendum onesto deve prevedere un voto ponderato. Quanto e come ponderarlo, è materia di discussione, Ma ponderato ha da essere. Si diceva un volta, non si possono sommare mele e pere.
Inoltre, ci sono in giro troppe frasi ad effetto e tortuose – e quindi insincere – sull’effetto del Referendum. Solo Berlusconi può avere la capacità di dire che l’Italia torna al nucleare dopo che un Referendum popolare lo ha escluso. Noi non siamo Berlusconi. Non si può chiamare la categoria a un voto su una materia così incandescente essendo vaghi sul “grande valore politico” del suo svolgimento. Perché è un modo per sfuggire alla serietà: se il Referendum dovesse dire “no” i suoi effetti devono cancellare ciò su cui è stato indetto, Non si può lasciare l’ambigua impressione di dire: guardate che se lo perdiamo diremo che stavamo scherzando, e la decisione ultima la prenderemo comunque noi. Chi si arrocca in questo modo ha già perso: dagli ebrei di Masada a Vercincentorige ad Alesia, dal Ridotto della Valtellina al Bunker della Cancelleria. Il gioco vero, inoltre, riguarda la platea dei chiamati a votare e anche su questo non sono ammissibili magheggi, alla Del Bulfalo, Cantore, Serventi Longhi dell’unico referendum precedente, quello del 1987. Ad avere magior peso nel voto dovranno essere solo coloro che sono travolti in pieno dalla “tranvata” (termine romanesco) delle nuove regole proposte. Tutto il busillis, dunque, sta nella ponderazione con cui saranno calcolati i voti contenuti nelle tre urne.
REFERENDUM: VOTERO’ SI’, MA GIORNALISTI SUBALTERNI
Io nel 2001 votai contro il contratto siglato tra la Fnsi di Paolo Serventi Longhi e la Fieg. E contribuii, da componente del Cdr, a far pronunciare contro l’assemblea dell’Ansa e, da presidente, il Consiglio Nazionale dell’Unci.
Adesso, voterò a favore.
Se il Referendum sarà organizzato in modo onesto. Il come e il perchè li ho accennati sopra.
E non certo perchè il contratto proposto sia migliore di quello del 2001: è peggiore, parecchi peggiore. Per le norme che introduce, per le molte cose a cui abdica, per quelle che impedirà ai colleghi di difendere ricorrendo a un magistrato. Ma anche, e per me è ragione primaria quanto le altre, perché denuncia in alcuni passaggi una subalternità culturale dei rappresentanti dei giornalisti agli editori. Oltre che da alcune clausole, alcune chiaramente di carattere vessatorio, ci sono dei passaggi, come il “qualsiasi” che ricorre almeno sei volte in uno stesso art6icolo che denunciano a chiare lettere lo stato di inferiorità, quantomeno emotiva, in cui abbiano trattato
Ed è questa per me la ragione principale del tanto di negativo che c’è nel contatto: essere andati alla trattativa – difficile, difficilissima, quasi impossibile – avendo in partenza chinato il capo alla propaganda e alle ragioni degli editori. Avendo detto un sì preventivo alla decurtazione del valore degli scatti di anzianità. (Lo hanno detto esplicitamente il direttore della Fnsi Tartaglia e poi Siddi nelle riunione della Commissione contratto del 25-26 scorsi e lo ha ribadito nella commissione del 1 aprile). Non solo per il loro valore economico, ma appunto per il loro valore politico-morale. Aver accettato il diktat che al tavolo ci si sedeva solo dopo aver rinunciato a una qualche parte del valore degli scatti di anzianità, ha dato agli editori la convinzione e la dimostrazione di aver vinto la partita della trattativa prima ancora di averla giocata.
Non ne poteva sortire nulla di buono, e così è stato. Anche se ho già detto che qualcosa di buono pure c’è. E in effetti la partita l’hanno vinta: diciamo 31 a 4. Siddi, che si intende solo di calcio, e non ha capito il richiamo ai punteggi rugbistici, si è adontato per il grande divario: prima ha parlato di pareggio fuori casa, poi addirittura di nostra vittoria. Poche altre di queste vittorie, please.
Voterò a favore per quello che Franco Siddi, alle 19 circa di giovedì 26 ha detto in Consiglio nazionale, parola più parola meno: “quando deciderete se è un contratto da prendere o da buttare, dovete pensare che se non c’e questo, non ce n’è un altro. Non c’è un contratto di riserva nel breve-medio periodo. Ma non c’è neanche quello scaduto nel 2005, perché la Fieg ha già compiuto il primo passo concreto per disdettarlo. Non aver pagato più dal 1° gennaio l’indennità di vacanza contrattuale, circa 17 euro, vuol dire che a parere della Fieg un contratto non è eterno e che trascorsi 3 anni dalla scadenza il contratto non esiste più e non è più tenuta ad applicarlo”.
Siddi lo ha detto a ragione, sia di diritto, sia di fatto.
Lo dimostrano la sentenza 30-05-2005, n. 11325 delle Sezioni unite civili della Cassazione che nega la ultrattività (cioè la vigenza perpetua al riparo da qualsiasi scadenza temporale e sua disdetta ) e il parere pro-veritate formulato il 21 marzo 2009, su richiesta della Asr, da Roberta Bortone, professoressa di Diritto del lavoro all’Università La Sapienza, che conferma la sostanziale validità giuridico-logica della pronuncia della Cassazione applicata al contratto giornalistico scaduto il 28 febbraio 2005.
C’è sempre chi, davanti alle sentenze, ritiene ed afferma che la fattispecie condita non è quella in discussione al momento o che, comunque, la volontà politica e la determinazione attuali, sono in grado di superare qualsiasi ostacolo, anche giurisprudenziale.
Errore. Siddi ha, purtroppo, ragione: sulla materia e sulle conseguenze. Lo abbiamo sperimentato pochi anni fa all’Ansa. Davanti alla pretesa dell’azienda di rinegoziare al ribasso il Patto integrativo escludendone i nuovi assunti, un Cdr coriaceo fece muro per quasi 2 anni, riuscendo a mantenere integro il Pia. L’azienda allora disdettò l’integrativo. Continuò a rispettarlo per chi era già nell’organico, ma non lo applicò a chi assumeva da quella data in poi. L’intera redazione resistette alla pressione morale, di vedere i neo assunti lavorare al proprio fianco con minori diritti e denari, circa un anno, fino a quando i colleghi nuovi divennero alcune decine su circa 400. A quel punto un nuovo Cdr riaprì le trattative e, pur di farlo applicare ai colleghi che ne erano privi, accettò pesanti riduzioni del Pia (forse maggiori di quelle che si sarebbero potute negoziare due anni prima), ad esempio il passaggio di indennità percentuali a compensi in cifra fissa, congelata a vita. Cosa sarebbe accaduto su scala nazionale ? Un cataclisma.
SFUGGIRE ALLA SINDROME DEL GIOCATORE D’AZZARDO
Voterò a favore. Non “turandomi il naso” come disse il rimpianto (da me quanto meno per la serietà, virtù che ritengo tra le supreme) Montanelli, ma per ragionamento. (L’animus pugnandi mi spingerebbe ad andare a bruciare l’ipotesi di accordo davanti alla sede della Fieg).
Occorre, infatti, sfuggire alla ben nota “sindrome del giocatore d’azzardo”. Che è la seguente: il giocatore entra in un casinò e cambia 100 euro. Dopo qualche ora, tra perdite e vittorie, si trova con l’equivalente di 20 euro in mano. Qui scatta la sindrome: pensa di essere stato derubato degli altri 80 e continua a giocare sempre più iroso (a Roma si dice che si è “infognato”) pretendendo che gli sia restituito fino all’ultimo il capitale iniziale. Naturalmente le condizioni psicologiche non sono le più favorevoli e 10 a 1 il giocatore finisce per perdere anche il denaro residuo.
Con l’ipotesi di contratto ci troviamo nella stessa condizione. E’ praticamente irresistibile la tentazione di mettere in parallelo il testo del 2005 e quello proposto adesso per segnare con la matita blu i peggioramenti (molti) e rossa i miglioramenti (pochi, ma ci sono). Ma questa è appunto la sindrome a cui occorre saper opporre la ragione. Il testo del 2005 non esiste più. Esiste solo quello di cui si propone la ratifica.
Sì, lo so, dirlo è facile, riuscirci e un’altra cosa. Anch’io nel redigere queste note ho prima studiato il testo proposto, poi ho aperto il libricino lilla ( a proposito per il prossimo non è meglio studiare un colore più simpatico e squillante ?)per vedere com’erano formulati prima gli articoli del “fu contratto”….
QUANDO LE COSE NON VANNO BENE SI CHIAMANO IN CAUSA I CDR
Tutto ciò che il contratto nazionale non è riuscito a dare dovranno conquistarlo, per sé e per gli altri, i Cdr delle grandi testate. Fino a qualche anno fa andava di moda il contrario. Si sosteneva che i piccoli non avessero la forza di ottenere integrativi ricchi o importanti e che dunque tutta la capacità di pressione andava esercitata sul livello nazionale. Adesso il pendolo si è invertito. Siddi, a ragione, ha esclamato che “il contratto deve essere fatto vivere”, Daniela Stigliano ha quasi sfidato i Cdr a far vedere la loro “balentia”. E’ tutto un esaltare, un po’ stonato, la “contrattazione di secondo livello”. Ci vuole, sempre, coerenza e serità, se il contratto nazionale proposto è buono, - qualcuno ogni tanto prova a farfugliare “molto buono” - allora non c’è alcun bisogno che i Cdr dispieghino tutta la loro potenza di fuoco. Se è un contratto “di difesa” o “di tenuta” come viene detto, perché questa è la situazione dei rapporti di forza tra giornalisti ed editori, quale forza maggiore dell’intera Fnsi e delle Associazioni, potranno mai avere i Cdr ?
E solo un’ulteriore dimostrazione del rapporto di odio-amore tra Fnsi e Cdr, lodati quando applicano le direttive romane, criticati quando fanno di testa (e interessi) loro.
LA "GROSSE KOALITION" IN FNSI SCATENA GUERRIGLIA IN REDAZIONE
Dico che occorre approvare questo contratto-Lazzaro, resuscitato da Siddi, Besana, Natale e pochi altri, perchè la categoria si sta sfaldando, tra demagogia e massimalismo, tra sogni e meschinità, tra incapacità a vedere l’interesse generale e a tutelare i legittimi diritti e interessi. Tra, anche, obiettive differenziazioni di funzioni, impegni e lavoro.
Sta prevalendo, sapientemente fomentato, l’individualismo e l’egoismo, personale, di testata, di azienda, di gruppo. Sta venendo meno (o è già avvenuto ?) la ragione primigenia dell’esistenza di un sindacato: fare massa compatta, sostenere con la forza dei primi la debolezza degli ultimi, avere un avversario – il sior paròn dale bele braghe bianche della canzone “bandiera” di Riso amaro (non a caso amaro) portato sul grande schermo da Giuseppe De Santis nel 1948, protagonista la mondina Silvana Mangano) – sul quale concentrare tutte le capacità di resistenza e aggressività dei lavoratori.
Credo di aver individuato uno dei principali fattori di tale fenomeno: il venir meno di una forte opposizione all’interno della Fnsi. L’ampliamento dell’accordo tra le correnti sindacali ha fatto sì che nel Consiglio Nazionale gli oppositori siano meno del 10%. Questo li ha indotti, essendo impotenti dentro il CN, a fare opposizione nelle redazioni e tra i colleghi sparsi, soprattutto i free lance per necessità, ricorrendo a metodi e forme da guerriglia e ottenendo qualche successo, amplificato dalla frustrazione di chi nelle redazioni si sente diventare sempre di più un impiegato e da chi fuori dalle redazioni non riesce a trovare una soddisfacente condizione giuridico-sociale-economica per gli sforzi che compie.
Paradossalmente, dunque, l’ampliamento della maggioranza interna alla Fnsi, quella "Grosse Koalition" che i partecipanti all’accordo hanno visto e vivono come un successo e un rafforzamento del sindacato, è invece fattore di indebolimento e, potenzialmente, di disgregazione della Fnsi. L’esempio dei Cub – i comitati unitari di base - che tanti colpi hanno inferto alla forza dei lavoratori , ma che erano giustificati, quasi provocati, dalla sordità dei sindacati-istituzioni alle esigenze di chi doveva disputare al caporeparto i cinque minuti per fare pipì – sta lì ad ammonire. Spero che più di uno, da una sponda e dall’altra, se ne renda conto ed abbia un sussulto di responsabilità che eviti al sindacato dei giornalisti la crisi di quello generale.
Il resto lo fanno la pigrizia e l’ignoranza dei colleghi – che non studiano carte e documenti e non si informano, preferendo farsi orientare dai “sentito dire” - e poi anche il naturale umano bisogno di far emergere quanto c’è di peggio da qualsiasi situazione o problema.
Siamo assistendo, anche, a un fenomeno sconcertante: dalle redazioni, grandi e piccole, e dai colleghi, giungono critiche e quantomeno distinguo sull’ipotesi di accordo. Che sembra invece, quasi entusiasmare i politici, sia di destra sia di sinistra, i sindacalisti federali e non, gli industriali, i banchieri, e in genere gli estranei alla nostra categoria. Mancano i reduci della P2, ma forse non me ne sono accorto io. Evidentemente non ci siamo resi conto, in questi anni, che il mancato rinnovo del contratto dei giornalisti ha pesantemente penalizzato, nell’organizzazione del lavoro e negli stipendi, mezza Italia. Evidentemente, inoltre, se a votare al Referendum fosse questa congerie di dichiaratori di professione, la consultazione sarebbe vinta prima ancora di essere indetta.
SIAMO A CAPORETTO O E’ UNA WATERLOO ?
Intendo fare una disamina articolo per articolo della ipotesi di accordo siglata da Fnsi e Fieg per cercare di capire se rappresenti una Caporetto o una Waterloo.
Come è noto la prima indica la ritirata strategica dell’esercito italiano fino al Piave, davanti al grave sfondamento delle nostre linee realizzato dalle truppe austro-ungariche e tedesche nell’ottobre 1917. Ritirata che salvò il grosso dell’esercito e consentì al maresciallo Armando Diaz di chiudere il Bollettino della Vittoria del 4 novembre 1918 con la celeberrima frase : “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”. Una apparente sconfitta catastrofica aveva gettato le basi del riscatto.
La seconda segnò la fine della stella di Napoleone, definitivamente sconfitto sulla piana vicina alla omonima cittadina belga nel giugno del 1815 dagli eserciti congiunti nemici, soprattutto quelli inglese e prussiano. Si chiuse così il Regno dei 100 giorni, iniziato dopo la fuga dal confino all’Isola d’Elba e, iniziò l’esilio a Sant’Elena durato fino alla morte dell’Empereur. Ma, soprattutto, finì la spinta propulsiva della Nazione francese iniziata alla fine del secolo precedente con la Rivoluzione – trovatasi senza giovani e, quindi, truppe fresche, perché le ultime generazioni erano scomparse nella fornace delle guerre napoleoniche - e la scena internazionale, almeno quella europea, fu dominata per un lungo periodo dagli Imperi centrali.
Intendo dire: la disastrosa sconfitta di Caporetto cementò forza e stato d’animo degli italiani; la battaglia persa a Waterloo spezzò ogni nerbo dei francesi e li riportò sotto il tallone dei Borbone.
Uscendo di metafora: l’ipotesi di accordo rappresenta il costoso, umiliante e inevitabile “abbassare la cresta” davanti alla preponderante forza attuale dell’avversario e consente ai giornalisti di sopravvivere in attesa che l’oscillazione inevitabile del pendolo permetta loro di recuperare dignità, potere e potere economico ? O, piuttosto, è il definitivo tracollo di una professione come l’hanno conosciuta le ultime generazioni ? Che fortemente la rimpiangono, come prima di loro hanno fatto le precedenti generazioni per le condizioni dei tempi in cui erano loro i giovani sulla ribalta ?
Temo di non poter trovare risposta alla domanda fatale e che per averla sia necessario attendere un tempo indefinito. Ma l’essere sulla breccia è già di per sé una forma palese di ottimismo perché dimostra la volontà di combattere e, quindi, la forza d’animo di chi pur in un periodo molto buio confida di poterlo rischiarare.
E, poi, comunque, chi ci consente di arrogarci il diritto di dire che il giornalismo è finito solo perché appare conclusa la forma e l’organizzazione redazionale che abbiamo conosciuto noi ? Le future generazioni di giornalisti opereranno nelle condizioni che lasceremo loro in eredità ma anche in quelle che si costruiranno da soli: il giornalismo continuerà ad esistere.
CONTRATTO DA GIORNALISTI O PER LE COLF FILIPPINE ?
Mi fa solo rabbia che si stia realizzando la profezia dell’orrido Alberto Donati pronunciata a un tavolo di rinnovo contrattuale di molto tempo fa: “il futuro è un piccolo nucleo di redattori specializzati di desk e una miriade di giornalisti esterni che trovano le notizie e scrivono gli articoli”. All’epoca fummo in molti a giurare che non gliela avremmo data vinta…..
Mi fa rabbia anche, che nell’augurio dello scorso Natale scrissi questa frase: "Non può essere il contratto dei tecnici (multimedialità). Non può essere il contratto dei globe trotter (multitestata, multiazienda, extraazienda). Non può essere il contratto dei promoter o dei venditori ambulanti (qualità dell'informazione). Non può essere, neanche, il contratto dei clown".
Non sarà politically molto corretto, ma almeno per un aspetto, sembra tanto il contratto delle Colf Filippine. Il nuovo articolo 23 dice che i 5 giorni di riposo straordinario retribuiti riconosciuti annualmente sono “frazionabili anche in mezze giornate lavorative”. Appunto, quello che serve per andare il giovedì pomeriggio ai giardini comunali a trovate le altre Colf Filippine.
Si potrebbe, volendo, ironizzare, dire anche che si tratta del contratto degli Osti data la “sommistrazione” del lavoro prevista dal punto C dell’art. 3 ma a impedirlo è il fatto che il contratto riproduce la (orribile) dizione di una legge dello Stato Italiano.
260 EURO NON SONO TANTISSIMI, MA CI SI RIEMPIE IL SERBATOIO
Anticipo una parte del ragionamento sull’aumento economico che, ha giustamente detto Giovanni Rossi vice segretario della Fnsi, rimette in moto la dinamica salariale dopo 4 anni. Anche se, ribatto, questa dinamica non si era mai fermata del tutto perchè gli scatti biennali al 6 % hanno funzionato come potente fattore di tutela, quantomeno, di una parte sostanziale del potere di acquisto della retribuzione.
Spiegherò più avanti in modo disteso il perché lo pensi, qui basta una considerazione: 260 euro in due tranche non mi sembrano una grande conquista (considerando che devono ripagare il periodo 2005-2009 e coprire quello 2009-2011 della prossima rinnovazione economica), ma sono pur sempre una cifra. E’ una somma che si trova nella “parte alta” della busta-paga e che dunque, quantomeno per l’aumento dei minimi di categoria, ha ricadute su altri istituti economici, straordinari, notturno, festivi, domenicali (anche se una criptica nota a verbale, nella sezione “Stampa sportiva” mi fa temere una qualche grossa fregatura per i colleghi addetti allo sport).
Capisco che per i colleghi del Corriere della Sera la cifra sia inferiore a quella necessaria a riempiere il serbatoio della Lancia Thesis che hanno in applicazione dell’integrativo aziendale, ma è sufficiente per riempiere il serbatoio della Ford Fiesta del 1995 che lo stipendio dell’Ansa, sia pure a fine carriera, mi consente di avere.
ESEMPI DI ETICITA’ E DI SOLIDARIETA’
Delle cose positive nel contratto proposto ci sono. Una etico-morale-solidaristica, importantissima, una economica, importantissima altrettanto. E poi ci sono le “assicurazioni” per la vecchiaia e la cassa integrazione
La prima è la scomparsa, progressiva mal nel biennio, degli Allegati B ed N (art.1) , soprattutto quest’ultimo con il quale, colpevolmente, tutti noi abbiamo accettato che i colleghi impegnati nei giornali elettronici avessero meno diritti e minori compensi. I colleghi recuperano dignità e potere d’acquisto degli stipendi.
La seconda è l’innalzamento del parametro (parte economica) sul quale si calcolano gli aumenti dei minimi contrattuali per la categoria dei Redattori con meno di 30 mesi di anzianità professionale. Nel contratto decaduto il loro parametro era pari a 0,71, nel contratto proposto sale a 0,81. Per chi ha poca dimestichezza: per convenzione condivisa, per calcolare gli aumenti dei minimi di stipendio si prende un “redattore campione”, è un ipotetico redattore, con oltre 30 mesi di anzianità professionale, che abbia un certo numero di scatti e faccia un certo numero di domeniche l’anno…. Quando si dice che l’aumento dei minimi sarà di 265 euro nel biennio, si intende che a questo redattore “virtuale”, che ha il parametro di 100, andranno 265 euro. Alle altre figure redazionali gli aumenti vanno in percentuale rispetto ai rispettivi parametri. Nel vecchio contratto ai redattori con meno di 30 mesi di anzianità era assegnato il parametro 0,71, ciò vuol dire che dei 265 euro a loro ne sarebbero andati 188,50; nel contratto proposto il loro parametro sale a 0,81 e, dunque la somma che riceverebbero salirebbe a 214,65, con un aumento di 26,15 euro lordi al mese. Non è la ricchezza, ma il segno tangibile (contraddetto dagli scatti, come dirò) che si è pensato di innalzare i redditi bassi di qualcosa.
Inoltre, art. 38, ai pubblicisti a tempo pieno viene fornita l’assicurazione infortuni piena e ai collaboratori fissi al 50% sulla base di una convenzione con l’Inpgi.
Ci sono poi i “Fondi”: uno, sacrosanto per perequare, cioè rivalutare, le pensioni che nel corso degli anni perdono il loro potere d’acquisto, il secondo per sgravare l’Inpgi dal costo dei colleghi messi in cassa integrazione alimentato con uno 0,50 dagli editori e uno 9,19 da ciascuno di noi.
I “fondi” sono entrambi presso l’Inpgi che così introita soldi freschi sia pure a gestione separata. Il primo, molto richiesto dai colleghi in quiescenza, viene creato per perequare le pensioni. Da gennaio l’editore “tratterrà” 5 euro a testa da versare al Fondo. L’altro serve ad alimentare il pagamento della cassa integrazione. E’ un modo per aiutare i colleghi.
Un altro modo, quello dell’appoggio della Fnsi alle richieste degli editori di avere somme dallo stato per finanziariare i prepensionamenti (prima 10 milioni, poi 20), ha dato adito di affermare che la Fnsi vuole mandare in prepensionamento centinaia di colleghi per offrire alla Fieg redazioni giovani e a poco prezzo.
Sospetto alimentato dal ritorno dell’art 33 di cui parlerò più avanti.
Siddi e gli altri della giunta respingono con sdegno questa interpretazione e chiamano a dimostrazione dlela loro buonafede il fatto che l’editore sarà chiamato a spendere in prima persona il 30% della somma necessaria a versare la pensione “piena” a coloro che, andando via prima dei 65 anni, ne riceveranno dall’Inpgi una decurtata
C’è inoltre (art. 3 allegato C) il passaggio all’Inpgi dei contributi pensionistici dei giornalisti il cui lavoro è stato somministrato ad altre aziende.
ABBANDONATA LA DIREZIONE AGLI EDITORI IN REDAZIONE TORNA A RISUONARE IL LEI……
“Buon giorno Signor Figura Apicale appartenente alla categoria massima dei dipendenti prevista dal codice civile, come sta ? Brutto tempo nevvero ? Che ne pensa Lei, sabato potremo sperare in un miglioramento ?”. Conversazione prossima ventura in un qualsiasi ascensore di una qualsiasi redazione tra un redattore e una Figura Apicale appartenente alla categoria massima dei dipendenti prevista dal codice civile.
E sì perchè a un Direttore responsabile, a un Condirettore, a un Vicedirettore era naturale dare del “tu” come si fa tra colleghi. Ma a una Figura Apicale appartenente alla categoria massima dei dipendenti prevista dal codice civile si impone di dare il “Lei”, perché non è un collega, ma un dirigente aziendale e se gli manchi di rispetto può anche scattare il codice di disciplina.
L’art 6 e i correlati art 3 e 27, stabiliscono per quelli che d’ora in poi chiamerò DCV, una durata contrattuale massima di 5 anni, quel tanto che basta perchè dal terzo anno in poi, almeno, divengano dei fedeli cagnolini dell’amministratore delegato per cercare di garantirsi il rinnovo del contratto e dello stipendio e prevedono che in caso di cacciata preventiva ricevano un indennizzo di 12 mesi di retribuzione in aggiunta ai 13 già previsti. Ma prevedono che il licenziamento può avvenire “anche in assenza di giusta causa e di giustificato motivo”. Il cdr, conseguentemente, è escluso dal dare pareri sul licenziamento di una Figura apicale…. etc, etc.
E per chi non ne fosse ancora convinto c’è la carrtina di tornasole del paragrafo sulla multimedialità il qaule sancisce che “le aziende….. sono tenute a presentare……. Il programma integrato elaborato con i direttori responsabili delle testate coinvolte nel progetto”…. Titolari del diritto di presentare i piani editoriali non sono più i Direttori ma le aziende.
Si conclude così, per me nel modo peggiore, l’annosa e stucchevole diatriba se Direttore e Direzione vadano considerati i “primi” dei colleghi o gli “ultimi” degli avversari: lo scudo per la professionalità del giornalista davanti all’invadenza del marketing e della pubblicità o il grimaldello con il quale contaminare testi e pagine di contenuti giornalistici. Sono chiarissimanente, definitivamente, irreversibilmente, stati buttati dall’altra parte. E, direi, anche fucilati alle spalle. Senza neanche consultarli. Si offre loro soltanto 3 mesi di tempo per decidere se “autodegradarsi” sul campo da soli o seguire il corso naturale delle cose.
I DVC sono “altro” dai redattori. Sono dirigenti aziendali, E in quanto tali non possono, neanche volendolo, dare più alcuna garanzia di corretta applicazione dei principi deontologici e della legge che fissa obblighi e prerogative dei giornalisti. I DCV d’ora in poi non “risponderanno” alla legge professionale e alla sua etica, ma “riporteranno” direttamente all’ amministratore delegato, agli obiettivi e alle regole aziendali, anche a quelle di comportamento, cosiddetto “etico”.
NEL PAESE DELLE DEROGHE I CONTRATTI A TERMINE SI ALLUNGANO ANCORA DI ALTRI 12 MESI....
L’Italia è il paese dove si tentano riforme coraggiose e socialmente ineccepibili, ma subito dopo, davanti ai costi che comportano. si varano leggi straordinarie che le vanificano. Accade ovunque e per tutto. Ricordate la legge Basaglia che chiudeva i manicomi ? E’ accaduto ancora di recente. Con i contrattisti a termine a vita. Hanno finalmente vinto una causa: non possono avere contratti a termine di oltre 36 mesi perchè scatta, ope legis, l’assunzione a tempo indeterminato,. Le ex Regie Poste – quelle del francobollo per posta “prioritaria” da 60 centesimi che fa viaggiare le lettere come posta “ordinaria” - hanno subito eccepito che loro ne avevano decine di migliaia di disgraziati in quelle condizioni. Detto e fatto una nuova normativa ha immediatamente sterilizzata la sentenza.
Anche noi, nel nostro piccolo, diamo una picconata al principio giurisprudenziale: dopo i canonici 36 mesi a termine, l’art. 3, voce A, introduce una deroga che consente una proroga del contratto per altri 12 mesi.
Deroghe, sempre deroghe anche per la casistica in cui è consentito il ricordo ai contratti a termine (artt. 3 voce A) autorizzata per “fronteggiare situazioni imprevedibili", quelle in cui le persone normali chiamano Vigili del Fuoco o Protezione civile.
Siddi, comunque, ha consolato tutti dimostrando, con punti e virgole alla mano, che anche i contratti a termine potranno godere degli scatti triennali di anzianità
ORE SUPPLEMENTARI E STRAORDINARIO PER I REDATTORI SDRAIATI O IN PIEDI
Sempre l’art . 3 Voce b, introduce forme suppletive di lavoro per chi ha il tempo parziale, che viene applicato, ed è questa una cosa positiva, anche su richiesta dell’interessato . Dunque si introduce un misterioso “lavoro supplementare nel limite del 30% dell’orario normale concordato” per i redattori che lavorano sdraiati poiché svolgono “lavoro a tempo parziale orizzontale”. E questo viene pagato con una maggiorazione del 19%. Invece, per i redattori che lavorano in piedi e, quindi, svolgono un “lavoro a tempo parziale verticale” le ore supplementari dopo quelle normali del tempo parziale vengono pagate come straordinario. Non dubito che per gli interessati si tratti di lacrime e sangue, ma mi sembra che questa parte dell’art. 3 si presti a qualche ironia.
V’è poi la nota a verbale a conclusione dell’articolo che quantifica il rapporto tra redattori ex art 1 a tempo pieno e quelli a termine: mi sembra che prevedere una redazione composta da 7 a termine e 14 a tempo indeterminato sia eccessivo.
UNA TESTATA VO’ CERCANDO, CH’E’ SI’ CARA……..
L’art 4 fa nascere la testata di “assegnazione” nell’ambito di un Gruppo editoriale, non si è dunque più assunti al “Corriere” o alla “Gazzetta del Mezzogiorno”, ma dall’azienda che edita anche queste testate e che ti disloca in altre testate o anche nelle inedite “Unità organizzative editoriali” – una sorta di Sirena con il corpo di donna e la coda di pesce, o se vogliamo un Minotauro con il corpo di uomo e testa e corna di toro - o infine in altre testate purchè controllate sotto il profilo azionario. In questo capitolo si determina una delle maggiori affermazioni in base al quale il lavoro del redattore da “opera collettiva dell’ingegno” viene degradato a manovalanza più meno professionalizzata. Lo rende in modo plastico il ripetersi sei volte, sei, della parola “qualsiasi” in relazione a testate e tipo di “prodotto giornalistico”: se è qualsiasi, il lavoro giornalistico non ha valore professionale individuale, ma è considerato di massa. Vale un tanto a chilo di redattore.
C’è poi il fatto che la trasmigrazione da una testata all’altra, avviene su “chiamata” del direttore di un’altra testata che, essendo evidentemente sovraordinato al direttore della testata di appartenenza, reclama presso di sé il redattore xx. L’articolo non spiega se c’e’ una graduatoria per la “chiama” dei direttori o se chi “chiama” per primo vinca la gara. Evidentemente per la manovalanza i compensi sono ridotti e quindi tutte le testate del gruppo possono riprodurre gratia et amori Dei i suoi articoli.
IL CDR MULTIMEDIALE DIVENTA DIVENTA RAPPRESENTANZA SINDACALE AZIENDALE PRIVA DI QUALSIASI POTERE REALE
Nelle aziende editoriali giornalistiche i redattori sono rappresentati e tutelati da un Fiduciario o da un Cdr. L’art., 4 al capitolo Multimedialità li trasforma in RSA, ovvero, rappresentanze sindacali aziendali (ho detto all’inizio che occorre sfuggire alla sindrome del giocatore e quindi evitare paralleli con contratti precedenti, perchè altrimenti la comparazione sarebbe talmente fallimentare da far bruciare subito l’ipotesi). Regolate dall’art.34, quello appunto che ha per titolo “Comitato di Redazione”.
E’ uno di quei cedimenti di cui parlavo prima, che indicano come i rappresentanti della Fnsi siano stati culturalmente subalterni a Donati e complici. Nello stesso articolo si cerca di allontanare dai giornalisti il calice della “pubblicità commerciale” ma non si dice nulla di tutte le altre forme di pubblicità e del marketing.
E soprattutto si dice, nero su bianco, che “l’illustrazione e l’esame del programma” di utilizzazione dei giornalisti in forma multimediale dovrà concludersi entro 40 giorni e “assorbe ogni e qualsiasi procedura” anche per “successive fasi applicative del programma medesimo”. Siamo, quasi alla follia: L’editore mi illustra il progetto A, io ho obiezioni ma non ho strumenti reali per farle valere, E soprattutto poi l’editore applica il piano B e io non posso dire nulla di nulla.
UN DIRETTORE DIMEZZATO E CHE “RIPORTA” ALL’AD
Della follia, che si rivelerà esiziale, dell’aver abbandonato i DCV al “nemico” ho già detto. Resta da dire che, art 6 e 34, essendo ormai un dirigente aziendale, bontà sua l’editore informerà il Cdr con 24 ore di preavviso dell’assunzione di un nuovo Direttore, mentre respingerà sdegnato come “indebita” ogni e qualsiasi espressione al momento del suo licenziamento.
Se ancora c’era un direttore, o una DCV, che in coscienza sentiva di essere dalla parte della legge professionale e dei suoi redattori e cercava di mediare tra doveri aziendali e professionali, così è stata calata una mannaia per recidere di netto ogni rapporto. Sarà contento chi da anni sosteneva che i Direttori erano già passati “dall’altra parte della barricata”. Scontento e sconsolato ogni redattore intelligente e riflessivo.
REDATTORE ESPERTO MINIMO DOPO 10,5 ANNI E CAMBIANDO AZIENDA SI RIPARTE DA ZERO
L'art 11, comma C, prevede che “può essere attribuita la mansione… di redattore esperto” a colui che è “in possesso di un’anzianità di servizio nella qualifica presso la stessa azienda superiore a 8 anni…”. Cioè ci impone un limite temporale minimo per ottenere la qualifica di “redattore esperto” (equiparato economicamente al vice capo servizio) di 30 mesi più 8 anni. Mentre al comma D si prevede che “possa” avere la “mansione di redattore senior” (equiparato economicamente al capo servizio) esclusivamente il “redattore esperto in possesso di un’anzianità di servizio nella qualifica presso la stessa azienda superiore a 5 anni…”. Cioè un’anzianità minima nella stessa azienda di 30 mesi, più 8 anni, più 5 anni: pari in totale a un mimo di 15,5 anni. Viene, quindi, escluso che si possa diventare redattore esperto o senior, per chiari meriti, in periodi più brevi o che un collega che abbia avuto il riconoscimento di una delle due mansioni possa mantenerlo spostandosi da un’azienda all’altra. (Taciamo per amor di patria il fatto che il redattore esperto era stato introdotto nel contratto dopo una lunga battaglia condotta dallaUnci e che l’art 11 vecchio prevedeva che il collega più “esperto” del “redattore esperto” - quello che adesso si chiamerebbe senior - aveva un trattamento economico pari a quello del vice caporedattore
NASCE IL REDATTORE CAPO CENTRALE, MA E’ A TEMPO
L’art. 11 fa nascere la figura, già esistente in molte testate, del redattore capo centrale che, senza che sia detto in modo esplicito, è a termine, anch’esso non determinato, Lo si capisce dal fatto che si parla di “limitatamente alla durata dell’incarico” e di “indennità di funzione”.
SCATTI AZZERATI IN CIFRA FISSA E PERCENTUALE RIDOTTA AL 4 %
Vero e proprio “colpo di scena” art. 13. Sarà per stanchezza o per calcolo che voleva essere furbesco ma era solo sbagliato, i dirigenti della Fnsi sono stati molto reticenti o addirittura fuorvianti. Avevano detto che gli scatti rimanevano al 6% invece sono scesi al 4% almeno 12 sui 15 massimi (ma 15 massimi in ciascuna testata o massimi in tutta la carriera ?). Infatti i primi tre sono biennali, e dunque conservano la loro bella percentuale del 6%, i successivi 12 divengono triennali e quindi la loro percentuale si riduce del 33% secco, scendono insomma al 4% nel triennio. Inoltre “gli importi così ottenuti non saranno soggetti a future rivalutazioni” e tanto perché non ci siano equivoci il concetto è scalpellato sulla pietra sul finire dell’articolo: “Gli aumenti periodici di anzianità maturati alla data del 31 marzo 2009 vengono congelati in cifra fissa sui valori in atto a tale data”.
L’importo dei futuri scatti poi è ridotto perchè la loro base di calcolo viene effettuata solo su minimi di stipendio e indennità di contingenza. Non c’è luogo a rivalutazione in occasione dei futuri aumenti dei minimi di categoria di appartenenza. Non c’è rivalutazione in occasione dei passaggi a categoria, superiore.
Daniela Stigliano, della segreteria Fnsi avrebbe fatto meglio a non pronunciare, nella commissione contratto del 25, una frase che, più o meno suona così: “avere i primi 3 scatti biennali sarà un incentivo per i colleghi a cambiare testata”.
Ma nella riunione del 1 aprile Blasi ha detto una cosa saggia, che nella vis polemica, pochi avevano rilevato: gli scatti al 6% ricevuti nei periodi di forte inflazione (a due cifre prima e poi sempre sopra il 5%), sono inferiori a quelli al 4% ottenuti nei periodi di inflazione bassa, al 2-1,5%. La matematica non è un’opinione, neanche quando lavora a favore di chi ha discusso il contratto.
QUANDO UNO SCIPPO SI CHIAMA MORATORIA
Moratoria, nei dizionari della lingua italiana, è parola che indica una “sospensione della scadenza”, sinonimo di dilazione. I dirigenti della Fnsi hanno parlato di moratoria di 9 mesi per gli scatti che maturavano quest’anno. La norma transitoria dell’art.13 dice ben altra cosa: “Nell’arco temporale intercorrente dal 1° giugno 2009 al 28 febbraio 2010 non decorre l’anzianità utile ai fini della maturazione degli scatti biennali di anzianità. Tale anzianità riprendere il decorso a far data dal 1° marzo 2010” Si tratta, quindi di un vero e proprio buco temporale nella anzianità aziendale di ciascun redattore che non verrà mai colmato. Uno scippo, non una moratoria.
DA CASALPALOCCO A SAXA E DA ROVIGO A PADOVA
Molta contrarietà ha creato, nelle settimane scorse, la riferita pretesa degli editori di imporre il trasferimento gratuito dei redattori in una sede distante fino a 40 km dal comune di residenza. Però c’è una osservazione dare. Un collega che vive a Casalpalocco, sulla via Colombo tra Roma e il mare di Osti,a e lavora al centro Rai di Saxa Rubra percorre ogni giorno una distanza superiore a colui che, poniamo, dovesse ora essere trasferito da Rovigo a Padova, e impiega più di un’ora per tratta. La sensazione diffusa di essere diventati “pacchi postali” non so quanto sia giustificata.
Ma il collega Michele Concina, nella commissione del 1 aprile, parlando con grande commozione, ne ha dato un quadro orribile basandosi sulla esperienza dellìappartenenza alla “catena Caltagirone” che copre tre quarti d’Italia : Il Mattino - Il Messaggero - Corriere Adriatico – Il Gazzettino. Ha detto, papale papale, che è stato per regole simili che il collega F.M. non ha potuto essere presente al momento della morte della madre. Non che abbia preconizzato per tutti noi una così terribile esperienza, però…
STAGISTI A GO GO, ANCHE TROVATELLI
Nella maggioranza delle testate si è giunti, dopo anni e anni, a regolamentare l’afflusso degli stagisti: un certo numero per redattori, in certi periodi dell’anno, con provenienza da scuole di una certa serietà, di norma quelle dell’Ordine. L’at 35 prevede invece solo che azienda e direttore “forniranno informativa” ai Cdr del loro numero, durata e impegno in azienda..
VIDEO IMPAGINAZIONE AGGRATISE….
Che a Roma è espressione che vuol significare non solo gratuitamente, in senso economico, ma anche giuridico e morale. La prevede l’art. 42 che oltre tutto impegna i colleghi addetti allo “ottimale utilizzo della potenzialità del sistema”. Dizione omnicomprensiva che fa fuori i residui poligrafici impegnati nel settore e obbliga i redattori a cambiare anche i filtri dell’aria dei macchinari che si dovessero intasare di pelucchi.
L’ASSICURAZIONE PER I GONZI... E PER TUTTI GLI SFIGATI
Ricordate il problema delle querele miliardarie? Del mafioso, criminale, o politico di turno che per mettere a tacere un cronista che scrive la verità gli intenta causa chiedendo come risarcimento 10 milioni di euro ? Non è un fenomeno finito. E’ finita l’illusione di noi gonzi di avere una risposta corretta dal contratto di lavoro. Da decenni la ricorrente e pressante richiesta dell’Unci di una assicurazione contro questo fenomeno viene trasformata in una “Nota a verbale che garantisce la sollecita soluzione del problema d’intesa tra Fieg e Fnsi”. Non siamo stati delusi neanche in questa occasione. La nostra bella “Nota a verbale” compare anche nell’ultima intesa Fnsi-Fieg. Stranamente però invece che nei canonici 90 giorni, questa volta garantisce di risolvere il problema in 6 mesi. Fosse la volta buona ? O davvero, davvero ci hanno preso per gonzi ?
Ma ci sono anche gli sfigati, cioè tutti quanti, perché (art 38) i massimali delle assicurazioni per gli infortuni (e quindi anche morte o paralisi permanente) non sono stati rivalutati pur a distanza di 8 anni e non lo saranno per i prossimi 4.
ATTENTI ALLA RECIDIVA , ORA SCATTA LA MULTA
Se non salutate in modo conveniente la Figura Apicale , etc, etc, ma anche il contabile aziendale, può scattare il regolamento di disciplina ex art 50. Il quale prevede il rimprovero scritto, sic et simpliciter, per violazione degli obblighi…. E della multa per violazione recidiva dei punti di cui sopra.
DISTACCHI: REGOLE MINUZIOSE E PERTANTO NON RISPETTATE
Molto minuziosa, e per tanto ritengo che potrebbe essere molto non rispettata, la normativa sul Distacco. Troppi paletti perché sia possibile tenerne conto nel fluire normale della vita delle redazioni. Certo l’evidente paura è che l’istituto sia utilizzato come strumento punitivo. “Per trasferire un redattore dal Tg1 a fare i titoli di Televideo” ha efficacemente sintetizzato Maurizio Blasi, i cui interventi somigliano sempre più a quelli di Suslov, l'ultimo guardiano dell'ortodossia sovietica
FATTURE PAGATE IN 30 GIORNI ?
L’art. relativo ai collaboratori sancisce che gli articoli debbano essere pagati “entro la fine del mese successivo a quello di pubblicazione”. Non c’è la richiesta dei freelance che il periodo scatti dal momento della consegna del pezzo e, soprattutto, non c’è la penale per ritardato pagamento. Simona Fossati infatti speiga che c'è un notevole ritardo, spesso lunghissimo, tra il periodo della consegna e quello della pubblicazione.
E’ irrealistico pensare che ci potesse essere quando tutte le aziende, anche le massime, dilatano i tempi di pagamento a 3, 6, 12 e più mesi. Ma, soprattutto, pur condividendo le difficoltà dei freelance, non riesco a sottrarmi alla considerazione che molti di loro agiscono con l’animus di chi si ritiene redattore a tutti gli effetti di una testata. Solo che qualcuno in amministrazione, non si capisce bene perchè, non lo riconosce e non lo mette in pratica.
TORNA IL FAMIGERATO ARTICOLO 33…….
Quello che consente alle aziende di fare piazza pulita, senza colpo ferire, dei colleghi più anziani e, quindi, mediamente più costosi. Anni di amputazioni delle più preziose professionalità e memorie storiche redazionali avevano portato allo svuotamento dell’art. 33 che però era rimasto nel contratto, Ora resuscita pronto a tagliare teste e professionalità senza il bisogno di ricorrere a stati di crisi o prepensionamenti. Una sorta di Golem o Frankestein, o se volete Mister Hyde redivivi. O un cocktail delle tre negatività. Luigi Ronsisvalle della segreteria Fnsi ha, in un polemico intervento, il 1 aprile, sostenuto che il ricorso all’art. 33 scatta solo in occasione di stati di crisi e che, comunque non sarebbe equo mantenere al lavoro chi è investito dall’art. 33 mandando invece in prepensionamento gente più giovane.
Su questo tema, ma in genere sull’accusa, risuonata in verità fin dall’autunno, che la Fnsi avrebbe dato una mano alla Fieg per sfoltire le redazioni, temo che la diatriba si trascinerà a lungo non potendoci essere prove a favore o sfavore.
SE 265,00 EURO VI SEMBRAN POCHI
Per vecchia abitudine non commento gli aumenti dei minimi contrattuali. Sia perchè non c’è nessuno che rifiuterebbe un aumento maggiore, sia perché ho condiviso gli aumenti in cifra uguale per tutti degli anni ’70. Altri tempi. Ma con Luciano Ceschia anche altre normative, che ti rendevano partecipe della “opera collettiva dell’ingegno” costituita da un giornale.
BIROCCHI: MA VI SIETE ACCORTI CHE NON SI E’ SCIOPERATO ?
Ogni tanto alla tribuna va un collega che sembra Biancaneve: dice una cosa elementare e tutti a dirsi, ma com’è che non ci avevamo pensato noi ? Era sotto gli occhi di tutti.
Martedì 1 aprile Biancaneve l’ha impersonata Francesco Birocchi, segretario della Stampa Sarda. Il quale ha ricordato i 18 giorni di sciopero della prima fase della trattativa – quelli che in molti vorrebbero recuperare a tutti i costi negli aumenti contrattuali – e poi ha detto: vi siete accorti che in tutta la seconda parte della trattativa non si è fatto neanche un giorno di sciopero ? Non mi è sembrato corretto il lazzo che gli è stato subito lanciato: “Bella forza, gli avete svenduto tutto !”.
LE INTERFERENZE ESTERNE, MA INTERNE ALLA CATEGORIA
Grande scalpore aveva suscitato la scorsa settimana un intervento di Stefano Sieni il quale aveva detto che l’Ordine invitava la Fnsi a non firmare il contratto che si delineava. Il segretario della Ligure Marcello Zinola era insorto, denunciato la invasione di campo e chiedendo a gran voce se si trattasse solo di parole o esistesse un documento ufficiale. Il 1 aprile Sieni è tornato con il “pezzo di carta”: un documento approvato per acclamazione dal Consiglio Nazionale dell’Ordine che “esprime forte preoccupazione” perché vede “a repentaglio l’autonomia e la deontologia professionale”, chiede un confronto con la Fnsi e indice una propria “seduta straordinaria per esaminare in dettaglio la situazione contrattuale”. A rigore di bazzica l’Ordine è abilitato a dire la sua su tutto ciò che riguarda la professione . Ma le due righe finali, molto secche, sulla seduta straordinaria e il ricordo dell’incidente di ottobre quando sul proprio sito pubblico una versione datata del confronto Fnsi-Fieg hanno riacceso i venti di guerra.
Molto più pragmatico e duttile, anche perchè favorevole all’approvazione, il presidente dell’Inpgi Andrea Camporese che è venuto a raccomandare di votare sì al contratto sottovoce e senza avere l’aria di farlo. Quindi nessuno ha pensato di essere eterodiretto come, invece, si dice che vorrebbe fare l’Ordine.
UNA RISATA CI SEPPELLIRA’
Cosa concludere ? C’è poco da dire. Abbiamo subito una sconfitta in primo luogo culturale e morale, poi normativa ed economica. Ma non siamo trapassati. Ci siamo ancora, sebbene molto acciaccati. Come doveva essere Lazzaro uscito dalla tomba alla chiamata di Gesù, 4 giorni dopo la morte.
Forse stiamo ingigantendo la sconfitta perché cambia attorno a noi un modello organizzativo, un modo di fare giornalismo, un mondo. Forse, mi auguro, vediamo solo la punta del nostro naso, e la realtà è migliore. Forse quella degli editori sarà una vittoria di Pirro, effimera.
Un vero signore si vede nel momento della sconfitta. Nel come la accetta, la elabora e rielabora per trasformarla in vittoria futura.
Facciamoci una bella risata sopra…….
Cordiali saluti, Guido Columba
P. S. - La collega Giorgia Cardini del Cdr dell’Adige mi esorta ad avere coraggio e votare no. Le rispondo che ci vuole più forza d’animo ad essere critico come me e votare sì. Perché a far morire Sansone con tutti i Filistei ci vuole un attimo e poi non ci si pensa più. A dover convivere con qualcosa che ti sembra tremendo per anni e anni ci vuole molto più coraggio civile.