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I cronisti non vogliono divenire dei Panda Il Sindacato deve battersi per impedirlo

XXVI CONGRESSO FNSI: ROSI BRANDI

L’intervento del presidente del Gruppo Cronisti Lombardi

13 gennaio 2011, Bergamo - In questi  giorni di Congresso ho mostrato a un collega il testo di un comunicato stampa  inviato dai carabinieri alla redazione di un quotidiano su un gruppo di ragazzi  denunciati per rissa in una discoteca. Notizia da breve, al massimo 30 righe. Il  comunicato ha persino un attacco – banale ma con un voluto effetto moralistico -  che vi leggo: “Non è il primo e probabilmente non sarà neanche l’ultimo  episodio  di violenza che si verifica tra ragazzi che escono la sera per  divertirsi e invece di farlo in maniera sana finiscono con l’ubriacarsi e  litigare…”. Sembra l’articolo scritto da un giornalista. E invece lo ha scritto  un  carabiniere, senza dubbio bravo in italiano,  per impacchettare una notizia  e darla ai giornalisti.

Comunicati stampa di questo  genere, con le quali fanno il paio le conferenze stampa-passerella, sono  all’ordine del giorno. Dalla Val d’Aosta alla Sicilia, dal Trentino alla  Sardegna. Ognuno di noi credo potrà raccontare un ricco repertorio di episodi in  cui il ruolo del cronista sia stato spogliato della grinta e dell’autonomia che  sono propri di questo mestiere, un ruolo by-passato anno dopo anno dagli uffici  stampa e dalle veline che giungono comodamente sui nostri computer senza che vi  sia ancora la presa di coscienza collettiva che se va avanti così il cuore del  cronista smette di battere. Facile immaginare che di quel comunicato così ben  scritto di cui ho parlato prima nelle redazioni si faccia un semplice taglia e  incolla: non scandalizziamoci, accade per noia, per pigrizia, per mediocrità,  perché non c’è tempo e siamo oberati di lavoro oppure – e questo vale per i  giovani, ammesso che ci sia ancora spazio per loro nelle redazioni – perché  adesso si fa così. E’ quest’ultima motivazione che dovrebbe mettere i brividi a   noi delegati: se continuerà a prendere piede questo sistema di filtraggio delle  notizie prima o poi diventerà un sistema codificato. E come saranno patetici, i  vecchi cronisti, a ripetere la manfrina delle scarpe consumate a furia di  cercare indizi per scrivere un pezzo diverso da quello che scriveranno gli  altri.

Perdonate l’ingenuità, ma io  credo - e come presidente dei Cronisti Lombardi l’ho ripetuto più volte - che  riprenderci la nostra identità violata sia ancora possibile. E allora alla  Federazione della Stampa dico che l’impegno sulle condizioni di lavoro, sul  precariato, sugli accessi non può prescindere dalla qualità del nostro lavoro,  non solo come concetto generale bensì attuando una vigilanza e una  sensibilizzazione attraverso le organizzazioni territoriali fin dentro le  redazioni più piccole. Che sono poi quelle in cui certi “modi di fare” distorti  – vuoi da parte dei giornalisti che da parte dei direttori e degli editori –  trovano un terreno più fertile. Ovviamente, nulla è possibile se non si fa  squadra: certo, battere la concorrenza è anche il sale della nostra professione,  ma sarebbe bello vedere i giornalisti convocati a una conferenza stampa alzarsi  in blocco perché le notizie sono già belle e impacchettate, inutile chiedere  altre informazioni.

Del resto, l’esponenziale  aumento delle querele è causato anche dal fastidio che genera il giornalista  troppo curioso, quello che dà notizie che altri non hanno. E l’esponenziale  aumento delle querele che cosa genera, se non l’autocensura? Perché rischiare:  alla fine siamo soli con i nostri problemi.

Ma alla fine a rischiare è la  nostra indipendenza: che è direttamente proporzionale alla competenza,  all’accuratezza e alla credibilità. Non dimentichiamo però che una notizia  completa, ricca di dettagli annotati e verificati con cura, non la ferma  nessuno.

Che il senso della nostra professione sia  sotto attacco è noto alla FNSI, che lo ha dimostrato ad esempio schierandosi a  fianco dell’Unione cronisti italiani in occasione dei molteplici disegni di  legge sulle intercettazioni telefoniche  approdati in Parlamento in questi anni,  discussi, votati, dimenticati, ritirati fuori dal cassetto, a fasi alterne  agitati come uno sparacchio dal mondo politico, dal primo ddl Mastella  all’ultimo ddl Alfano. Eppure, nelle redazioni, non era facile spiegare ai  colleghi più giovani o meno sensibili alle tematiche sindacali quali gravi  ripercussioni avrebbe avuto la nostra professione se il testo normativo con  quella formulazione fosse stato approvato . Ricordo lo stesso disinteresse ai  tempi dell’approvazione della legge sulla privacy, quattordici anni fa: da  allora, non abbiamo più avuto l’onore di conoscere per esteso il nome né di un  ferito in un incidente stradale né di un trafficante di droga.

Alla FNSI quindi i cronisti chiedono di non  diventare dei Panda, sostenendo ogni iniziativa possibile per aiutarli a   garantire la qualità del loro lavoro. Non è un caso del resto che proprio la  FNSI abbia donato a tutti i congressisti un libercolo scritto da un anonimo del  1785, cioè la “Supplica degli stampatori e libraj d’Italia a papa Pio VI”. C’è  un brano fondamentale, sottolineato anche sulla quarta di copertina, che vi  leggo: “Giammai gli antichi Governi posero una inquisizione sopra la penna:  tutti ebbero la libertà di riflettere e comunicare le proprie idee….Voi  (riferito al Papa) dovete rendere questo servizio alle Lettere avvilite, alla  lingua incatenata e sopra tutto all’Italia gemente , che vede imputridire  copiosamente i più fervidi talenti e geni più felici….”. Sembra scritto l’altro  ieri, non tre secoli fa.

Vi consiglio di leggerlo. Grazie.

 

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Quaderno sul Ddl Alfano

 

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Libro Giornata della Memoria