RIINA, IL RISPETTO DEI DIRITTI SIA QUELLO DELLE VITTIME DI UN BOSS MAI PENTITO
Dichiarazione del presidente Alessandro Galimberti e del
vicepresidente Leone Zingales
Le decisioni dei Tribunali e della Cassazione vanno rispettate, tanto più
quando non sono neppure definitive, come nel caso dell’annullamento
con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna della negata scarcerazione di
Salvatore Riina per motivi di salute. Tuttavia nel dibattito sui diritti del
detenuto non si possono deliberatamente ignorare quelli delle vittime.
E allora non si può dimenticare che l’organizzazione di cui Riina è stato
giudicato (definitivamente) capo apicale è stata responsabile, tra gli altri
misfatti, dell’omicidio di giornalisti. Riconoscere a Riina il diritto a espiare
la pena fuori dal regime di isolamento che la giustizia gli ha inflitto,
nonostante la totale assenza di pentimento e/o ravvedimento (anzi,
capace ancora di condotte minatorie recenti e reiterate verso magistrati
e polizia) significa lanciare un messaggio fuorviante e confliggente con i
valori impersonati dalle centinaia di vittime della mafia (e delle vittime
di Riina stesso). Chiedere il rigore di una giustizia retributiva – e in
assenza di alcun segnale rieducativo da parte del condannato – non
significa invocare la vendetta, ma più umanamente il rispetto di chi
è stato brutalmente eliminato dalla furia omicida delle mafie. Anche
alla memoria dei cronisti uccisi per aver scelto di contrapporsi alla
ferocia della (unitaria) gerarchia mafiosa.