DUE ALBERI PER IL GIUDICE ALBERTO GIACOMELLI E PER IL GIORNALISTA COSIMO CRISTINA
Il giornalista Vincenzo Bonadonna, ex direttore del quotidiano L’Ora, già intervenuto con un suo scritto nel volume che l’Unci, nel 2008, ha dedicato ai giornalisti uccisi da mafie e terrorismo, parlerà di Cosimo Cristina.
Il giudice Giacomelli era nato a Trapani nel 1919 e nel 1946 entrò in magistratura. Fu pretore a Calatafimi (Tp) dal 1951 al 1953. Dal 1978 all’1 maggio 1987, quando andò in pensione, fu presidente di sezione del tribunale di Trapani. La mattina del 14 settembre 1988, in località Locogrande di Trapani, una pattuglia di carabinieri trovò il cadavere di Giacomelli accanto alla sua auto. Il giudice era stato ucciso con due colpi di pistola alla testa e all’addome. Nel 1985 Giacomelli, presidente della sezione “Misure di prevenzione” aveva disposto il sequestro di un immobile riconducibile a Gaetano Riina, fratello del capomafia corleonese Salvatore Riina.
Cosimo Cristina era nato a Termini Imerese (Palermo) nel 1935. Alla fine degli anni ‘50 fu tra i fondatori e direttore del periodico “Prospettive siciliane”. Tra il 1959 ed il 1960 collaborò con il quotidiano L’Ora, Il Giorno di Milano, con l’agenzia Ansa, per Il Messaggero di Roma e per il Gazzettino di Venezia. Sulle pagine del periodico da lui fondato e diretto trovarono spazio interessanti resoconti di cronaca nera e giudiziaria, soprattutto quella riguardante i comprensori di Termini Imerese e Caccamo dove era molto forte, in quel periodo, la presenza mafiosa. Il corpo senza vita di Cristina fu trovato in prossimità della galleria Fossola il 5 maggio 1960. All’inizio la sua morte fu archiviata come suicidio. Ma nel 1966 l’allora vice-questore di Palermo, Angelo Mangano, riaprì l’indagine avanzando l’ipotesi di omicidio. Per Mangano la mafia aveva simulato un suicidio. Il giovane Cosimo Cristina era stato ucciso in un luogo e il cadavere abbandonato sui binari della ferrovia tra Termini e Trabia, nel Palermitano. Nel suo rapporto investigativo il vice-questore Mangano aveva chiamato in causa, come mandanti, un politico termitano e uno dei capi del clan mafioso di Termini Imerese. I due, però, furono prosciolti da ogni accusa e il caso nuovamente archiviato.