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La libertà di stampa prevale sulla privacy

SENTENZA DELLA  CORTE DI CASSAZIONE

Il popolo è ”sovrano”  soltanto se pienamente informato

di Donatella Stasio  per Il Sole 24 Ore

13 luglio 2010 - Libertà di stampa e privacy sono  entrambi beni costituzionali, ma la prima «prevale» sulla seconda. Parola della  corte di Cassazione che, con una sentenza di venerdì scorso, sembra aver scritto  una sorta di memorandum sui rapporti tra informazione e riservatezza, al centro  dell’infuocato dibattito politico di questi giorni sul ddl intercettazioni. La  tutela della privacy – ricorda la corte – vale come «eccezione» rispetto «al  diritto insopprimibile e fondamentale della libertà di informazione e di  critica». Un diritto senza il quale non esisterebbe la «sovranità popolare» (non  nel senso evocato da taluni attori della vita politica degli ultimi anni).  Secondo la Cassazione, infatti, «intanto il popolo può ritenersi  costituzionalmente "sovrano"», in quanto sia «pienamente informato» di tutti i  fatti di interesse pubblico. È soltanto così che si forma, in modo «compiuto e  incondizionato», l’opinione pubblica.

La sentenza (n. 16236/2010, presidente Mario Morelli,  relatore Bruno Spagna Musso) è stata depositata più o meno nelle stesse ore in  cui il premier Silvio Berlusconi affermava che la libertà di stampa non è un  diritto assoluto ma incontra un limite in altri diritti «prioritari o uguali»,  come quello alla privacy. La Corte non sembra dello stesso avviso. Ovviamente,  non mette in discussione che il diritto all’informazione possa incontrare dei  limiti, ma piuttosto che il diritto alla privacy sia della stessa portata o,  addirittura, prioritario. Non è così, scrive la Cassazione, richiamando norme  costituzionali, ordinarie e deontologiche, giurisprudenza, anche della Corte di  Strasburgo nonché risoluzioni del Consiglio d’Europa. Ne vien fuori un quadro  tanto chiaro quanto scontato, osserva qualcuno al Palazzaccio, se non fosse che  la sentenza è già rimbalzata in rete e, visti i tempi, «fa notizia».

«L’attività di informazione è chiaramente prevalente  rispetto ai diritti personali della reputazione e della riservatezza, nel senso  che questi ultimi, solo ove sussistano determinati presupposti, ne configurano  un limite», scrive la Corte. Un principio valido anche per il giornalismo  d’inchiesta che è forse «l’espressione più alta e più nobile dell’attività di  informazione».

Due le ragioni che stanno alla base della prevalenza della  libertà di stampa sulla privacy. La prima va cercata nell’articolo 1 della  Costituzione, là dove dice che «la sovranità appartiene al popolo, che la  esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Ebbene, il «presupposto»  per «un pieno, legittimo e corretto esercizio di questa sovranità» è che «si  realizzi mediante tutti gli strumenti democratici a tal fine predisposti  dall’ordinamento», tra cui «un posto e una funzione preminenti spettano  all’attività di informazione». Che, dunque, è «condizione imprescindibile» della  sovranità popolare.

La seconda ragione sta nel fatto che il legislatore ha  ricondotto reputazione e privacy nell’alveo delle «eccezioni» rispetto al  generale principio della tutela dell’informazione. Tant’è che nel Codice  deontologico dei giornalisti – si legge nella sentenza – è scritto che la  divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta  con il rispetto della privacy e che la sfera privata di persone note o che  esercitano funzioni pubbliche dev’essere rispettata se le notizie o i dati non  hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica.

 

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